Negli ultimi anni l'industria vitivinicola italiana ha dovuto affrontare tutta una serie di sfide piuttosto complesse, dagli impatti dei cambiamenti climatici alle mutevoli preferenze dei consumatori, passando per le nuove regolamentazioni del comparto e la sempre più crescente concorrenza internazionale. Come se non bastasse, le aziende vitivinicole sono chiamate ad essere sempre più sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale, ad essere sempre più innovative e tecnologiche e a giocare il loro ruolo nell'enoturismo.

 

Ecco quindi come emerge nitida la necessità di ridefinire le strategie da adottare e quella di acquisire nuove competenze per rimanere competitivi sul mercato globale, senza dimenticare l'importanza della formazione.

 

Parte proprio da qui lo studio condotto da Nomisma per conto di ForAgri ed Eban dal titolo "La formazione per la competitività dei lavoratori e delle imprese vitivinicole: cambia il mercato, cambiano le competenze". Uno studio presentato in occasione dell'ultima edizione del Vinitaly a VeronaFiere durante il convegno "Quali competenze per lo sviluppo del settore vitivinicolo italiano? Analisi del fabbisogno e opportunità di finanziamento" dello scorso 16 aprile, organizzato proprio dal Fondo Paritetico Nazionale Interprofessionale per la Formazione Continua in Agricoltura e dall'Ente Bilaterale Agricolo Nazionale.

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Vino: mercati, consumi e previsioni future

La finalità dello studio era quella di capire come tutti questi cambiamenti di mercato vengo affrontati dalle imprese attraverso la ricerca di competenze e di professionalità e come la formazione rappresenti una leva strategica.

 

Ma prima di illustrare la ricerca, Denis Pantini di Nomisma ci ha fatto una fotografia del settore. Innanzitutto ha evidenziato il calo del consumo di vino a cui stiamo assistendo: in Italia, nel giro di vent'anni, siamo infatti scesi da 51 litri pro capite (nel 2000) a meno di 40 (nel 2022); e oltre al calo nei consumi stiamo assistendo anche ad un cambiamento nelle preferenze dei consumatori: aumentano i consumi di bollicine a scapito dei vini rossi. "Nel 2010 - specifica Pantini - solo otto bottiglie su cento riguardavano consumi di spumante e dodici anni dopo le bottiglie sono diventate quattordici. I rossi invece sono scesi da quarantaquattro a trentanove".

 

Naturalmente questi cambiamenti non riguardano solo il mercato italiano, ma anche quello mondiale, e di conseguenza ciò ha inciso anche sulle nostre esportazioni, sia per quanto riguarda le tipologie di vino esportate che le aree geografiche in cui esportiamo. Se nel 2003 l'83% dei volumi esportati era rappresentato da vini fermi e frizzanti e un 8% da vini sfusi, vent'anni dopo i fermi e i frizzanti sono calati, scendendo ad un 66%, gli sfusi sono scesi ad un 5%, mentre le bollicine sono cresciute, arrivando ad un 29%. A livello di area di destinazione, "si riduce il peso dell'Unione Europea, mentre aumenta quello dei mercati d'oltremare, in particolare quelli asiatici", spiega Pantini.

 

Il grafico mette in evidenza come sono cambiate negli anni le tipologie di vino che esportiamo e le aree geografiche in cui esportiamo

Il grafico mette in evidenza come sono cambiate negli anni le tipologie di vino che esportiamo e le aree geografiche in cui esportiamo

(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)

 

Ma cosa sta succedendo a livello nazionale? Perché calano i consumi di vino? Il motivo è da ricercare nel cambiamento delle modalità di consumo: si riducono infatti i consumi quotidiani e aumentano invece i consumatori saltuari e occasionali, sia nella fascia diciotto-ventiquattro anni, che passano da un 69% nel 2007 a un 72% nel 2022, sia nella fascia degli over sessantacinque (dal 29% del 2007 al 43% del 2022). Questo cambiamento va ad interessare anche la tipologia: le bollicine sono preferite soprattutto dai giovani, mentre con l'aumentare dell'età guadagnano terreno i vini rossi.

 

A tal proposito la domanda sorge spontanea: quali saranno i vini del futuro, per la precisione fra tre anni? Sulla base delle risposte date da un campione di consumatori italiani, Nomisma ha individuato tre tipologie di tendenze: trend certi, trend probabili e trend poco probabili.

 

Nella prima si collocano al primo posto i vini con marchio biologico e quelli sostenibili, a dimostrazione della sempre maggiore attenzione all'ambiente e alla sostenibilità, a seguire si evidenzia l'attenzione verso i piccoli produttori e i vitigni autoctoni. Tra i trend probabili ci sono, fra gli altri, i vini di fascia medio alta e quelli a bassa gradazione alcolica; mentre quelli considerati poco probabili sono rappresentanti da "tutte quelle nuove tendenze che riguardano ad esempio la mixology e i vini dealcolati. In alcuni mercati, però, questi ultimi stanno andando molto forte, soprattutto negli Stati Uniti e in Germania, dove le vendite di questi vini negli ultimi due anni sono aumentate a valore di oltre il 50%", precisa Danis Pantini.

 

Grafico: Verso quali vini si orienteranno i consumi in futuro?

Verso quali vini si orienteranno i consumi in futuro?

(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)

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La ricerca di Nomisma, ecco chi sono le imprese vitivinicole intervistate

Definito lo scenario generale del settore vitivinicolo, la ricerca di Nomisma si è focalizzata sull'analisi delle imprese coinvolte per fornire un quadro completo e dettagliato del contesto in cui operano, mettendo in evidenza le tendenze, le opportunità e le sfide che affrontano, nonché le strategie adottate per rispondere a queste dinamiche.

 

Sono state intervistate circa 240 imprese vitivinicole italiane, considerate rappresentative del contesto nazionale in quanto contenenti tutti quegli aspetti che caratterizzano la struttura vitivinicola italiana: i titolari sono prevalentemente uomini, per quasi il 40% sono aziende condotte da persone con oltre sessanta anni di età, per la maggior parte sono micro e piccole aziende (il 70% ha dichiarato di avere fino a nove addetti); per quanto riguarda la superficie vitata, il 32% è sotto i 10 ettari, un terzo ha una produzione inferiore a 250 ettolitri e a 10mila bottiglie vendute.

 

L'84% dichiara di fare vini a marchio Dop e Igp e un 78% di praticare anche la vendita diretta in cantina. Aspetto questo molto importante a cui si collega la questione dell'enoturismo, che nel nostro Paese è in crescita, ma che potenzialmente potrebbe fare ancora molto di più: ormai "il giro d'affari è di circa 3 miliardi di euro e per alcune aziende, soprattutto per le micro piccole, parliamo di una incidenza sul fatturato che può arrivare fino al 20%" precisa Pantini.

 

All'interno di questo campione, il 69% delle imprese non aderisce ad alcun fondo. C'è invece una forte componente di aziende che esporta, ma la percentuale di esportazione è strettamente collegata alle dimensioni aziendali: le piccole aziende hanno infatti sempre più difficoltà ad arrivare nei mercati esteri, tra i quali quelli più importanti per il vino sono gli Stati Uniti, la Germania e la Svizzera.

 

Export, il ruolo giocato dalle competenze

Una prima domanda rivolta alle imprese intervistate ha riguardato proprio l'export, "visto che ormai una bottiglia su due esce dai confini nazionali", come puntualizzato da Denis Pantini. Il 68% delle imprese intervistate è già attivo sui mercati esteri, mentre un ulteriore 14% ha intenzione di farlo in futuro.

 

Ma quali sono i principali vincoli all'esportazione? Le limitate risorse finanziarie per sostenere gli investimenti, segnalate soprattutto dalle aziende del Sud Italia; in secondo luogo le regolamentazioni e le normative locali, e a seguire la scarsa conoscenza sui mercati da presidiare e le competenze e l'organizzazione interna non adeguate. A tal proposito, tra le principali problematiche in termini di competenze e di organizzazione interna nella fase di esportazione ce ne sono ben tre particolarmente rilevati: le competenze manageriali, quelle linguistiche e culturali e quelle tecnologiche.

 

Si vede "quindi come l'esigenza di competenza per affrontare anche i mercati esteri diventa prioritaria per rispondere alle sfide dell'internazionalizzazione", mette in evidenza Pantini. Interessante notare come il 10% delle aziende dichiara di non aver riscontrato alcuna difficoltà in questo contesto, "e se andiamo a vedere le aziende che realizzano formazione e rilasciano certificazioni, questa percentuale aumenta fino al 27%".

 

Grafico: Le criticità in termini di competenze per quanto riguarda l'export

Le criticità in termini di competenze per quanto riguarda l'export

(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)

 

Il settore vitivinicolo abbraccia l'innovazione

L'altra leva strategica è quella dell'innovazione. E qui le aziende vitivinicole sono un passo avanti rispetto a quelle di altri comparti. "Il settore vitivinicolo è un settore che investe in innovazione perché almeno otto aziende su dieci hanno dichiarato che negli ultimi anni hanno introdotto innovazioni di processo, organizzative e di prodotto. Solo un 20% - spiega Pantini - non è stato interessato da questo investimento".

 

Una parte significativa degli investimenti in innovazione ha riguardato le attrezzature (l'87% delle aziende ci ha investito negli ultimi tre anni), ma salta subito all'occhio che l'investimento nella formazione dei dipendenti (42%) e quello legato al conseguimento di certificazioni di qualità (39%) sono la seconda e la terza risposta. Se andiamo a vedere chi ha risposto per classe dimensionale, si può osservare, per quanto riguarda la formazione, che le aziende più grandi arrivano addirittura all'85%, che sono poi quelle aziende iscritte ad un fondo. Si evidenzia quindi un "gap di conoscenza tra le piccole aziende che non aderiscono a un fondo e che non hanno dotazioni finanziarie utili per investire in formazione" e quelle di dimensioni più grandi.

 

Il grafico evidenzia che oltre l'80% delle aziende intervistate ha introdotto innovazioni

Il grafico evidenzia che oltre l'80% delle aziende intervistate ha introdotto innovazioni

(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)

 

E proprio le capacità finanziarie non adeguate a sostenere gli investimenti sono considerate il primo ostacolo alla realizzazione delle innovazioni in azienda. Troviamo poi le difficoltà nel reperire informazioni sulle innovazioni su cui investire, l'assenza di strumenti finanziari a supporto dell'innovazione in azienda e, ecco che ritornano, le competenze interne non adeguate. Il 9% delle imprese ha invece dichiarato di non aver riscontrato ostacoli significati.

 

Il digitale piace, ma servono competenze

Parlando poi di innovazione non si potevano non considerare quelle che sono legate al digitale e alla sostenibilità, un po' per i cambiamenti climatici in atto, un po' perché l'Unione Europea e gli stessi consumatori chiedono maggiore attenzione da questo punto di vista. Il 37% delle imprese intervistate ha già introdotto innovazioni in questo ramo, il 9% è in fase di progettazione e il 26% è in fase di valutazione. D'altra parte, il 28% delle aziende restanti non ha ancora affrontato il tema, con il 2% che dichiara di non essere interessato alle nuove tecnologie.

 

Tra le tecnologie inserite in azienda al primo posto ci sono quelle sostenibili, come gli strumenti per il risparmio energetico o per il trattamento dei rifiuti; a seguire, strumenti di misura ottici e sensori; app, droni, eccetera.

 

Particolarmente interessante però è la colonna di destra, perché sì, le aziende investono in tecnologie innovative e sostenibili, ma dichiarano anche di non avere il personale preparato per utilizzarle. Per esempio, tra le aziende che hanno introdotto macchine e impianti automatizzati, ben il 61% dichiara di non avere il personale preparato e con le competenze necessarie per l'utilizzo. Anche qui quindi c'è "un gap molto importante perché da un lato si riconosce l'importanza dell'innovazione di queste macchine digitali per rispondere alle sfide di mercato, ma dall'altro si è consapevoli del fatto che non ci sono le competenze necessarie per utilizzarle" sintetizza Denis Pantini.

 

Grafico: La colonna di destra mette in evidenza la percezione dell'importanza delle tecnologie innovative, ma allo stesso tempo la consapevolezza delle aziende di non avere personale idoneo per l'utilizzo delle stesse

La colonna di destra mette in evidenza la percezione dell'importanza delle tecnologie innovative, ma allo stesso tempo la consapevolezza delle aziende di non avere personale idoneo per l'utilizzo delle stesse

(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)

 

Ma quali sono gli ostacoli principali nell'introduzione di queste innovazioni? In primis i costi elevati e la burocrazia, ma in secondo luogo ci sono tutta una serie di aspetti che possono essere migliorati attraverso la formazione, come dimostra il dato quasi vicino a otto nella scala da uno a dieci che rappresenta il grado di utilità della formazione, secondo le aziende intervistate, per il superamento degli ostacoli.

 

Grafico: Gli ostacoli per l'adozione di strumenti e innovazioni digitali

Gli ostacoli per l'adozione di strumenti e innovazioni digitali

(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)

 

Priorità e strategie future

E nel futuro, cosa è considerato più importante? Quasi l'85% delle aziende posiziona la selezione delle materie prime in cima alla lista delle priorità, ma subito sotto si trovano l'impegno nella tutela dei propri lavoratori e gli investimenti in formazione del personale. A seguire, la tracciabilità, la ricerca e lo sviluppo di certificazioni aziendali.

 

Mentre nei prossimi cinque anni, quali saranno le competenze necessarie e strategiche in azienda? Anche qui al primo posto emerge la questione della gestione sostenibile delle risorse e l'ottimizzazione dei processi produttivi, al secondo posto la conoscenza delle scienze biologiche e chimiche e al terzo e quarto posto la comprensione di tecnologie di etichettatura digitale (QR Code e NFC) e l'abilità nell'elaborazione e nell'analisi dei dati (inserite nella lista da circa tre aziende su dieci).

 

Settore vitivinicolo, la formazione e la certificazione pagano

Considerata la crescente domanda di personale qualificato in tutto il processo produttivo, alle imprese sono state poste anche domande sulla formazione dei loro dipendenti. Quasi otto aziende su dieci hanno dichiarato di aver già realizzato o di avere in programma di realizzare delle attività di formazione nei prossimi due, tre anni (oltre a quelle previste obbligatoriamente per legge). La maggior parte delle imprese che ha implementato questo tipo di formazione è quella più strutturata che esporta e che registra un fatturato medio alto.

 

Per le aziende partecipanti alla ricerca, i dipendenti dovrebbero essere maggiormente formati su potatura e gestione della vegetazione della vite (36% delle imprese), segue l'amministrazione, la commercializzazione e il marketing e al terzo posto troviamo l'enoturismo. Le criticità che si riscontrano nella formazione sono soprattutto legate alla conciliazione dei tempi di formazione e di lavoro, in alcuni casi l'assenza di riconoscimenti per la partecipazione e il turnover dei lavoratori, che nel settore agricolo è particolarmente elevato.

 

Grafico: L'importanza della formazione per le aziende vitivinicole

L'importanza della formazione per le aziende vitivinicole

(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)

 

L'ultimo aspetto preso in considerazione nella ricerca di Nomisma è stato quello riguardante la certificazione delle competenze. Qui è "interessante vedere come le aziende che hanno diciamo così attivato questo percorso di certificazione hanno individuato dei benefici molto importanti, il 63% delle aziende ritiene che il personale con competenze certificate sia un personale più qualificato e che abbia anche una maggiore produttività", spiega Denis Pantini. La validazione e la certificazione delle competenze contribuisce anche ad una maggiore consapevolezza delle proprie abilità e a migliorare il clima lavorativo.

 

Grafico: Focus sulla certificazione delle competenze

Focus sulla certificazione delle competenze

(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)

 

Se c'è formazione c'è competitività

In conclusione, il panorama vitivinicolo nazionale è un'eccellenza consolidata, che però si trova ad affrontare le sfide della sostenibilità, dei cambiamenti climatici, dell'innovazione e del digitale, senza tralasciare la grande opportunità data dall'enoturismo. Investire in sostenibilità e in innovazione tecnologica è cruciale per garantire la crescita e la competitività del comparto, oltre che percorrere la strada della formazione, fondamentale per l'acquisizione delle competenze necessarie in azienda.

 

"Si tratta di qualcosa di fondamentale, in un settore dove la maggior parte delle competenze si misura sul campo. Solo da un grande, rinnovato impegno per la formazione in agricoltura si potrà aumentare il valore aggiunto di un settore altamente strategico per il nostro Paese, mantenere la competitività innestando nuove energie per il settore" conclude Vincenzo Conso, presidente di ForAgri.

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